giovedì 26 gennaio 2017

GIORNO 88

Giovedì
Bentornata insonnia, ma anche stomaco chiuso, emicrania battente e incessante e, dulcis in fundo,  voglia di convogliare tutto il dolore che ho ancora dentro in altre parti del corpo.


Quindi come sto? Se ho ricominciato a contare i giorni…non bene, per niente bene.
Le bimbe, giorni fa, mi hanno chiesto cosa siamo noi due perché non capiscono se il padre vuole ritornare e io perdonare o se devono considerarci definitivamente separati. Da tale domanda è nata la “grande domanda”: cosa voglio io? Io, come donna, non come madre o moglie. Ho trovato la risposta in breve tempo e ho cercato di parlarne con lui per mettere un punto fermo a tutta questa storia, ma non ha mai il tempo di parlare con me, così ho dovuto usare il solito canale mail, anche se quello che dovevo dirgli avrebbe avuto bisogno di meno asetticità e distanza. 
Non siamo più niente, né marito e moglie, né amici, né due persone che stanno cominciando a conoscersi meglio, non siamo più innamorati l’uno dell’altro, quindi è meglio andare avanti con l’ipotesi della separazione, mettendo nero su bianco la parola fine.
Non ho avuto risposta, né con mail, né con messaggio né con telefonata e nemmeno quando è venuto ieri sera per vedere le figlie.
Silenzio assenso, anche se mi sarei aspettata almeno un minimo di dispiacere, dopotutto finire così malamente e improvvisamente un rapporto durato 27 anni, da cui sono nate due figlie, un minimo di dolore lo lascia, lo deve lasciare, a me lo ha lasciato e fa male, troppo male. 
E’ un dolore da sconfitta, da delusione, dal rendermi conto che sono stata presa in giro per anni senza accorgermi di niente, un dolore che sale da dentro ma non riesce a uscire per andarsene definitivamente, come fa lui a non sentire proprio niente?
Solitamente impariamo dagli errori, anche da quelli fatti da altri e, soprattutto, nella formazione del nostro essere uomo o donna, gli errori fatti dai nostri genitori ci insegnano a capire come vogliamo essere e come non vorremmo mai diventare, almeno per me è stato così. Per lui no, l’anaffettività in cui è stato cresciuto forse non l’ha mai reputata un errore o una mancanza, forse perché le carenze affettive sono state colmate da altro, da mutande stirate, da casa impeccabilmente pulita e ordinata, da pasti cucinati su ordinazione e quindi si è convinto che tutto questo fosse l'affetto.
Io ho una visione diversa, per me l’affetto non si misura con quante cose materialmente fai, ma quanto di te dai; io preferisco godermi dei momenti di chiacchiere con le mie figlie invece che starmene con il ferro da stiro in mano, preferisco riempirle di baci e abbracci piuttosto che di cibo, voglio che con me possano sentirsi al sicuro e dargli sicurezza per esserlo anche quando non ci sarò più, voglio che si sentano libere di parlare di qualsiasi cosa senza il timore di essere brontolate o giudicate, voglio che si sentano a proprio agio e non sull’attenti per paura di improvvise sfuriate scaturite da futili motivi. Io ho vissuto la situazione opposta: in casa mia si poteva parlare ben poco, poche confidenze e molte apparenze, i miei genitori erano troppo presi da lavoro e problemi personali da trovare il tempo e la voglia di parlare con noi o accorgersi se c’era qualche cosa che non andava, vivevo nel terrore che mia madre trovasse la nostra stanza in disordine perché sapevo che si sarebbe infuriata, avevo paura di dire o fare cose sbagliate, così ho sempre taciuto e accumulato domande o richieste.
Può darsi che stia sbagliando, sicuramente non ho la presunzione di essere una madre perfetta, ma almeno ci sto mettendo tanto impegno e sacrificio per far crescere le mie figlie senza complessi e insicurezze, non voglio che diventino come me o taciturne e chiuse come il padre.
Lui invece, pur ammettendo di aver avuto un pessimo rapporto con il padre, si comporta esattamente come lui, aggiungendo ai suoi scatti d’ira anche la parte che ha imparato dalla madre: far finta che vada tutto bene, non parlare nè dire quello che si pensa, ma farsi i cavoli propri senza che nessuno se ne possa accorgere per paura del giudizio altrui.
Falsità e apparenza, le cose che ho sempre mal sopportato da chiunque:  accorgermi che ho vissuto per anni tra falsità e apparenza è una gran parte del mio dolore.
Ieri ero a un funerale, io detesto i funerali, soprattutto perché, se la persona defunta mi era molto cara, non mi piace condividere un momento così doloroso e intimo pubblicamente, mi sembra solo un momento di falsità e apparenza…ma ieri è stato diverso, dovevo andare perché sapevo bene  che la mia assenza avrebbe provocato un dispiacere ai parenti rimasti. E’ morta la mia tata, la donna con cui sono cresciuta, che mi ha cresciuta nell’affetto, da cui ho preso la tolleranza e la sopportazione. Era una donna forte seppur ossuta, saggia seppur non istruita, estremamente affettuosa e amorosa con me seppur non avevamo legami di sangue. Tutti i giorni l’aspettavo con ansia e lei arrivava, con il suo odore di pulito, di panni stesi al sole, di corsa fatta in bicicletta per non fare tardi, e non le interessava minimamente il mio aspetto, era l’unica che non mi diceva niente sulla mia ciccia, ma la divertiva la mia esuberanza, il mio continuo essere in movimento, il chiederle il perché di ogni cosa, lo starle sempre appiccicata cercando di imparare a essere come lei ma combinando disastri su disastri, mi faceva sentire speciale e amata, anche se ero davvero una piccola peste; fu lei a mettermi il soprannome di “peste bubbonica” e, per anni, quando mi chiamavano così non mi offendevo minimamente perché trovavo che suonasse meglio di “cicciabomba”, anzi, cercavo di dare motivo valido per chiamarmi sempre e solo “peste bubbonica” per far passare l’altro soprannome nel dimenticatoio.
Ecco, ieri, ripensando a lei, ho pensato a cosa significhi amare: vuol dire far sentire il prossimo unico e speciale, desiderabile e desiderato.
Da quanto tempo non mi sento unica e speciale? Da quanto tempo non mi sento una persona desiderabile? Troppo, talmente tanto che non mi sono mai accorta che avrei dovuto sentirmi così se fossi stata amata veramente.
Ecco un altro motivo di dolore: ero talmente abituata a essere amata poco da chiunque che mi sono sempre accontentata, scambiando un semplice affetto per amore.
Ho bisogno di amore, prima o poi riuscirò ad avere un briciolo di amore sincero che mi faccia sentire unica e speciale?
Altra cosa che mi dà dolore è che lui non capisce che io non aspetto più, che non mi meritavo proprio di essere presa in giro prima né di continuare a farlo ancora ( il lupo perde il pelo ma non il vizio: l'aver detto a lei di voler tornare da me, a quanto pare è stata solo una scusa per cambiare amichetta), insiste a dirmi che è confuso pensando che gli  stia chiedendo di tornare ad amarmi senza ascoltare quello che invece gli sto dicendo: ho aperto gli occhi e non posso amarti più.

Voglio cominciare a vivere la vita e smettere di subire quella che mi fanno vivere.

lunedì 23 gennaio 2017

CIAK, SI GIRA!

Lunedì
Sopravvissuta indenne anche a questo fine settimana, anche se…ho ricominciato a non dormire, ad avere incubi stranissimi e ad avere la nausea…ma non riesco a darmi una spiegazione, nemmeno io capisco il perché di questa regressione.
Stanno cominciando ad arrivare le voci dei pettegolezzi raccontati, cambiando pezzi, protagonisti e persino storia, su di me. Dovrei esserne arrabbiata o almeno infastidita, invece ne rimango totalmente indifferente, forse perché, ormai, ne sono abituata e so che niente può combattere la fantasia malata della gente di un piccolo paese, così ascolto racconti inverosimili, ma più banali della realtà e mi viene pure da ridere. L’unica mia preoccupazione è che, questo telefono senza fili paesano, arrivi alle orecchie delle bimbe, ancora poco abituate a combattere con le malelingue, quindi devo stare un po’ in allerta e pronta ad attutire eventuali colpi bassi.
Chi abita in piccoli paesi lo sa come funziona: tutti sono protagonisti di film altrui e non c’è scampo, nemmeno per chi è già bello che morto! Tempo fa ero ad aspettare il mio turno dal dottore: insieme a me c’erano solo vecchiette, vedove e annoiate, che si contendevano l’unico vecchietto uomo presente facendo una sorta di gara fra chi sapeva più cose di chiunque abitasse in un’area di 30 km ( c’è stato anche un momento che si è oltrepassata pure la provincia!). Esilarante! La maggior parte dei protagonisti dei pettegolezzi raccontati erano morti da poco ( il 2016 deve essere stato un anno nefasto vista la lunga lista dei personaggi citati) e, oltre a raccontare segreti nascosti sulla vita del mal capitato, le simpatiche vecchiette tiravano fuori, tipo asso nella manica, anche indiscrezioni sulla morte del protagonista.
C’era chi era morto per un pranzo troppo abbondante, sicuramente cucinato dalla moglie appositamente per realizzare il sogno di una serena vedovanza, chi per sforzi inutili nel gabinetto, chi per cause naturali che, secondo le amabili comari, avevano bisogno di maggior accertamenti perché i figli del de cuius, al funerale, non erano poi così tristi; i migliori sono stati i pettegolezzi sulla vita dei poveretti: c’era chi ha sempre tenuto nascosto di aver sposato un parente diretto trovandosi come suocera la propria zia, ma, essendo suocera, è stata tremenda come doveva, c’era chi ha avuto dei figli illegittimi, di cui nessuno si è mai accorto, per carità, ma che loro avevano capito subito la discendenza da tratti somatici rivelatori e da elementi caratteriali inconfondibili, poi è stato il turno di chi beve e quanto, di chi ha dei figli che continua a mantenere anche se continuano a comportarsi male uscendo “fuori dal seminario” perché, al giorno d’oggi, i giovani hanno troppi “benestari”…ho faticato non poco nel trattenermi dal ridere, soprattutto per la sicurezza nell’usare parole di cui non conoscevano il significato,  per fortuna era arrivato il mio turno di visita e ho lasciato l’allegra compagnia della lingua lunga fuori dalla porta, con la sicurezza che anche per loro era arrivato il mio turno!
Si dice che non ci sia limite alla stupidità, a me sembra che la malignità abbia limiti ancor più infiniti, l’unica difesa rimane l’indifferenza e il saperci ridere su, tanto ognuno ha il diritto di vivere la propria vita come vuole, ha il diritto di avere i propri segreti e anche quello di non averli ma lasciare che gli altri credano il contrario.
Quanti film si girano nei paesini di provincia…perché continuare ancora a organizzare i maggior premi cinematografici in posti come Los Angeles, Cannes e Venezia quando i migliori registi e scenografi si trovano in paesini che avrebbero anche bisogno di eventi del genere?
La cosa bella nel vivere in un piccolo paese è che, se non sai neanche tu cosa stai facendo, qualcun altro lo sa già…

Con silenzio e pazienza vincerai la maldicenza

venerdì 20 gennaio 2017

GIORNO 82

Venerdì
Dovrei smettere di dare un numero cronologico ai giorni. Ci sono settimane che passano così velocemente che non mi accorgo nemmeno che giorno sia stato ieri e quale sarà domani. Buon segno? Il tempo sta passando e, come previsto, si sta portando via pezzi di vita vissuta che non riesco più a trovare.
Domenica, per una serie di impegni e circostanze, mi sono ritrovata di nuovo a recitare la parte di facente parte di una famiglia apparente ma, quando mi sono ritrovata davanti a un ricordo troppo tangibile e triste di un lontano 21 giugno del 1998, sono crollata in preda a un pianto di pura sofferenza per il vuoto che, da troppi anni, cerco di colmare ma senza successo.
Purtroppo nella mia vita ho provato fin troppe volte la sensazione di abbandono, di perdita definitiva, per persone che amavo da morire; ognuna di loro ha lasciato dei vuoti dentro di me, ma anche dei bei ricordi che mi aiutano ad alleggerire la pesantezza dei ricordi più tristi.
In quel giorno di giugno di tanti anni fa ho perso mio padre. Non ho rimorsi o rimpianti, non ho lasciato niente in sospeso, nessuna cosa non detta né baci o abbracci non dati, gli ho voluto un gran bene nonostante, come padre, commettesse un sacco di errori e, proprio in quel giorno, in un brevissimo momento di lucidità, mi chiese scusa…
”Quanto male ti ho fatto e quanto amore mi hai dato, non te lo meritavi, scusami…”
Non dimenticherò mai questa frase, non dimenticherò mai quanto mi piacesse dargli dei sonori baci sulle guance sempre profumate di colonia, e, quando mi guardo allo specchio, vedo i suoi occhi stanchi diventare i miei. Già,  non ho rimpianti, non ci sono “avrei potuto”, “avrei dovuto” e questo rende il dolore del ricordo sopportabile.
In quei giorni, o forse lo stesso giorno, non ricordo bene, disse a colui che sarebbe diventato mio marito dopo soli due mesi, di prendersi cura di me…
Ecco, domenica mi sono ritrovata davanti a una chiesa e a una lapide che, se fino a qualche mese fa mi scaturivano sentimenti contrastanti di gioia per l’una e dolore per l’altra, mi hanno dato un doppio dolore: ora sono veramente sola.
Mi sono adattata sempre agli imprevisti della vita, ho sacrificato sogni e ambizioni ma ne costruivo di nuovi, diversi, ma pur sempre sogni, anche quando, dopo pochi anni dalla perdita di mio padre, ho perso mia madre, sono riuscita a sopravvivere. Per la sua perdita il dolore è stato immenso, fra noi c’è sempre stato un rapporto speciale, quasi simbiotico: lei sentiva le mie sofferenze e le mie ansie e io sentivo le sue, come se fossimo ancora collegate dal cordone ombelicale. Anche con lei ho detto e fatto tutto, non ho rimpianti, le dicevo sempre che le volevo un mondo di bene, anche quando ero già madre e lei già nonna, però sento ancora forte la sua mancanza,  mi mancano i suoi abbracci, le nostre lunghe chiacchierate e le carezze che mi dava sulla testa quando mi accoccolavo accanto a lei.
Ora sono sola.
Si, ho due figlie, ma questo vuol dire che sono io a dover pensare a loro, che devo proteggerle, coccolarle, ascoltarle, accarezzarle e baciarle, ma non ho più nessuno che faccia la stessa cosa con me.
Mi adeguerò anche a questa vita, mi darò altri obbiettivi, cercherò altri sogni da realizzare, sono sopravvissuta indenne a ogni cambiamento, da tutti i brutti momenti che la vita, improvvisamente, mi ha buttato addosso, perché ci  sono cose che non puoi fermare, non puoi cambiare nemmeno mettendo tutto l’impegno possibile, non dipendono da nessuno e quindi ci si deve rassegnare e continuare a vivere adattandosi a vuoti e a dolori incolmabili.
Ma ora sono sola.
Quest’altra botta che la vita mi ha riservato (forse per vedere se avevo abbassato la guardia e mi fossi adagiata sugli allori?) però mi lascia amareggiata, come se ci fosse qualcosa di diverso dalle altre volte in cui ho dovuto asciugarmi le lacrime e alzare la testa, perché, anche se so bene che riuscirò a cavarmela come sempre, questa volta non era inevitabile, questa volta il destino non entra nel merito, questa volta la mia vita è stata cambiata dal volere altrui, da chi non ha minimamente pensato che io avrei pagato a caro prezzo le conseguenze di un comportamento infantile e superficiale.
Mi sto adattando a stare sola.
I primi segnali positivi ci sono: non mi fa più tristezza chiudere la porta la sera ed essere solo in tre, non vedo più come motivo d’ansia la parte del letto vuota, anzi, ora la vivo come una comodità in più, non devo più pensare a pasti che accontentino gusti e orari diversi, non mi rattristo più a trovarmi in tre intorno a un tavolo o davanti alla tv la sera,  perché so che non c’è un quarto…anche prima forse non c’era veramente.
Comincio a star bene da sola?
Forse si, forse è rimasto solo l’affetto e l’amore se ne è andato con la vecchia vita; se per me è stato deciso che fosse ora di cambiare vita allora che cambiamento sia: senza rimpianti e rimorsi, anche questa volta so di aver detto e fatto tutto…almeno io.

La malinconia è proporzionale alla quantità di bei ricordi che siamo riusciti a salvare dallo tzunami della vita.

giovedì 12 gennaio 2017

GIORNO 74


Giovedì
Mi sono presa qualche giorno di vacanza cerebrale, e mi ha fatto bene e, come ogni vacanza meritata e desiderata, mi sento quasi rigenerata e meno vulnerabile.
Ho chiuso la scorsa settimana con l’ennesima mazzata, l’ennesima cattiveria nei miei confronti, ma, questa volta, visto che ha usato le figlie per farmela arrivare, la rabbia e la delusione sono state immense e decisive. Non ho mai tollerato le persone che giudicano gli altri solo dal mero aspetto fisico, forse perché io non l’ho fatto mai, forse perché proprio non tollero le persone superficiali e vuote, così, quando le bimbe ( dopo un pomeriggio passato con il padre) mi hanno innocentemente riferito le loro conversazioni con il genitore maschio, mi sono cascate le braccia e ho dovuto, come al solito, rimediare ai danni fatti…
La piccoletta, che prima, davanti ai miei lunghi digiuni, si preoccupava e cercava di invogliarmi a mangiare, ora è contenta se vomito o non tocco cibo per giorni perché, a detta sua, diventare magra è l’unico modo per far tornare suo padre, anche se, sempre parole uscite dalla sua bocca, purtroppo posso cambiare il fisico ma non la faccia, quindi rimarrò brutta a vita e questo non mi fa meritare l’amore di suo padre, quindi un po’ devo rassegnarmi a non essere amata da lui…ma c’era davvero bisogno che gli parlasse di quanto odia il mio aspetto fisico? C’era bisogno che gli dicesse quanto sono brutta e grassa? Loro lo vedono già da sole, però mi amano per quello che sono, perché sono la loro mamma, il loro porto sicuro, la loro scacciamostri, la loro confidente e anche la loro dittatrice rompiscatole nei momenti in cui divento troppo mamma e poco amica.
Se la piccoletta ha reagito alle parole del padre rafforzando l’amore e la stima che ha per lui, la quattordicenne si è chiusa ancor di più e ha perso l’ultimo briciolo di fiducia che aveva in lui visto che, ahimè, lei assomiglia molto a me: stessi capelli, stesso ovale di viso, stessi colori, stessa poca altezza, ma non stessa ciccia, anche se non è uno stecchino, è una ragazza fisicamente normale; così le parole del padre le ha sentite quasi rivolte a se stessa e l’hanno ferita profondamente.
In questi due mesi e mezzo sono stata ragionevole, comprensiva, paziente, tollerante, forse ancora innamorata, propositiva, severa con me stessa, volenterosa, mentalmente indipendente, ferita, arrabbiata, stanca, silenziosa e amareggiata, ma mai delusa. La delusione, per me, è un sentimento molto forte, negativo quanto l’odio, perché mi fa perdere ogni tipo di sentimento nei confronti della persona che mi ha resa tale e con cui, di solito, chiudo ogni tipo di rapporto  per sempre. Lui mi ha profondamente delusa, non solo per l’ultima leggerezza fatta, ma soprattutto per come si è comportato in questi ultimi mesi, così che, in questi pochi giorni di vacanza cerebrale, sono stata bene nell’accorgermi che non c’è più niente che mi susciti un sentimento positivo nei suoi confronti, quindi vuol dire che, lentamente, sta passando la tempesta e, prima o poi, ritornerà il sole nella mia vita, un sole tutto mio, non riflesso da nessuno.
Ieri un mio caro amico mi ha chiesto come va e mi sono accorta che non potevo dare un’unica risposta: va bene per come sto proseguendo la mia strada, non va bene per il dolore e la fatica che provo nel camminare senza voltarmi, lasciando pezzi di vita vissuta cadere dietro di me. Arriverà il momento che non ci sarà più nulla da perdere lungo la strada, così, forse, a questa domanda potrò rispondere con un convinto e sonoro MOLTO BENE!

Che vita…sento sempre il peso di un ricordo appeso al collo…