domenica 30 aprile 2017

UNO, NESSUNO E CENTOMILA: COME DISTRUGGERE LA VITA ALTRUI,,,

GIORNO 182, ultimo giorno della settimana e di questa brutta storia di non amore

Domenica
Ieri ho capito una cosa importante: non c’è fine alla meschinità, chi nasce bugiardo non diventerà mai sincero, nemmeno con se stesso e cercherà sempre una scusa e una colpa da addossare a qualcuno per stare bene con la propria coscienza; ma le bugie hanno le gambe corte e spesso tornano indietro, verso chi le dice, creandone altre, moltiplicandosi senza fine.
Non pensavo che ci potessero essere persone “malate” di bugie, invece ho scoperto che è proprio una malattia che crea dipendenza, come tutte quelle altre malattie che portano all’autodistruzione e alla distruzione di chi convive con chi ne è affetto.
Finalmente è uscita la rabbia, non quella che rende ciechi e irrazionali, quella che mi ha dato la lucidità di capire finalmente chi avessi davanti?
Ho scoperto un oceano di bugie, ho scoperto di aver avuto un marito con mille personalità, mille facciate, mille vite parallele, mille amanti…ma chi è veramente?
Per me non è più niente, non posso più versare una lacrima per qualcuno che nemmeno conosco!
Ha fatto un bel autogoal a lasciare il suo vecchio tel alle bimbe: pensava di averlo resettato ben bene, ma, quando ho cercato di mettere le impostazioni per prepararlo all’uso della quattordicenne è avvenuto il miracolo…lassù qualcuno mi ama veramente! Le impostazioni e il backup effettuato non sono state caricate dal vecchio tel quattordicenne, ma dal suo. Fortunatamente per lui ( e per me…) alcune app che richiedevano la sua sim non sono state caricate, ma mi è bastato vedere quello che ci ho trovato.
Ha davvero un bel coraggio e tanto tempo libero! Riesce a tradire moglie e amante con altre due persone contemporaneamente, riesce a farsi compatire dalle amiche con cui sa di non avere chance passando da uomo probo, sincero, maltrattato dalla moglie da anni, racconta balle, storie assurde, non dice che mi ha abbandonata come un cane sull’autostrada per godersi la vacanza del momento, no, lui racconta che la sua scelta è stata sofferta e motivata dalla mia indolenza e pigrizia, dalla delusione di avere accanto una moglie che vive tutto il giorno sul divano.
Ancora altro dolore, ancora bugie, ancora date in cui diceva di essere in posti mentre era in altri, se poi ripenso alle continue sfuriate che mi faceva fino a ieri se gli dicevo che avevo smesso di fidarmi delle sue parole, beh, il dolore diventa rabbia e ne ho tutto il diritto, no?
Mi ha fatto passare una vita fatta di umiliazioni, di sacrifici, di assenze e solo ora mi rendo conto che ho sempre pensato che quella fosse la normalità di una vita di coppia.
Ha raccontato alle sue amichette che mi sono spiaggiata sul divano da quando sono nate le bimbe, beh, forse perché rientrava a casa alle nove e mezza di sera ed era l’unico momento della giornata in cui riuscivo a fermarmi, ma, per amore di verità, ecco come è stata la mia indolente vita:
Dopo pochissimi mesi dalla nascita della primogenita mia madre ha avuto un incidente ed è venuto fuori che aveva il cancro alle ossa e già una bella metastasi a un ginocchio. Ho passato l’estate più calda dell’ultimo secolo a macinare chilometri ogni giorno, con neonata appresso, per assisterla in ospedale, poi, una volta tornata a casa, casa in cui abitavamo anche noi visto che lui non poteva permettersi di cercare una casa, o un qualsiasi altro buco, nostro, mi sono sdoppiata e triplicata cercando di gestire le esigenze di una madre invalida e bisognosa di costanti cure, una bambina di pochi mesi e un marito che cominciava a latitare e a lamentarsi che aveva bisogno di una vita più serena e, soprattutto, di una moglie con uno stipendio per stare meglio. Come potevo permettermi un lavoro? Chi avrebbe fatto le cose che stavo facendo? Intorno a me vedevo amiche con figlio meno piccolo della mia aiutate costantemente da quattro nonni, zie, aiutanti e baby sitter e io? Io potevo contare solo su me stessa e così ho fatto.
Quando ho scoperto di essere incinta della piccoletta ho pianto perché sapevo che le speranze di uscire dal mio ruolo di madre/moglie/infermiera/badante erano finite.
Ho avuto una gravidanza bruttissima, ma non potevo fermarmi, la prima figlia ancora non camminava né parlava e mia madre aveva bisogno davvero del mio aiuto…nel frattempo lui spariva sempre di più, usciva la sera da solo con la scusa che doveva fare da cicerone a una sua amica straniera, ogni tanto ho provato a chiedere se potessi andare anche io con loro, ma c’era sempre un motivo valido per tenermi a casa. Una sera, stremata dalla solita giornata, digiuna da giorni, con una pancia da settimo mese e una bambina di 18 mesi in braccio, l’ho beccato che, telefonicamente, stava dando l’addio alla sua amichetta…certo che mi sono arrabbiata, ma, come al solito, la sua capacità di rigirare la realtà facendomela vedere diversa da quello che era, mi aveva riportato al mio solito stato di donna zerbino.
Molto prematuramente nasce anche la piccoletta, a soli due minuti dalla mia entrata in sala operatoria comincio a star male, ad avere una crisi respiratoria, sentivo le voci dei medici che, concitate e allarmate, dicevano che mi stavano perdendo, e io sentivo che me ne stavo andando ed ero serena, perché stanca visto che il viaggio per arrivare all’ospedale l’ho fatto versando lacrime silenziose per la sensazione di indifferenza che mi dava colui che guidava, ma quando (il tutto è accaduto in pochissimi minuti) uno dei medici ha detto all’infermiera di chiamare subito mio marito per dargli modo di dirmi addio e lei è tornata dicendo che fuori non c’era nessun marito e che aveva cercato anche in altri posti, ma senza successo, dentro di me è scattata la voglia di reagire: non potevo andarmene così, gli avrei solo fatto un piacere!
I giorni passano, la piccoletta rimane appesa tra la vita e la morte per 21 giorni, io vengo dimessa dopo tre ma riportata in sala operatoria dopo una settimana: setticemia. Ricordo bene che, non potendomi fare un’anestesia, mi hanno aperta così come si squarcia un pollo, ricordo il dolore immenso, sentivo le mani dei medici che frugavano dentro la mia pancia, che spostavano le mie budella, vedevo le facce sconvolte delle infermiere quando hanno aspirato un litro e mezzo di pus…e lui? Lui era nell’androne a giocare serenamente con il suo telefono.
Dopo quasi un mese finalmente mi ritrovo a casa con le due bambine, stanca, ma ancora senza tregua, senza aiuti, ancora sola. La mia pancia, per paura di ulteriori infezioni, mi è stata lasciata aperta e per sei mesi ho vissuto con garze, bende, mega assorbenti sulla ferita aperta che ancora non poteva essere ricucita, per sei mesi mi hanno tempestato di punture di antibiotico, mi sono fermata? No, mai stata nemmeno a letto, perché, nel frattempo, dovevo ancora occuparmi di mia madre, della primogenita e della neonata che aveva mille problemi di salute e che non ha mai smesso di piangere 24H24 per sette mesi. Lui? Ritardava sempre più il rientro a casa, aspettava che almeno la figlia grande dormisse già e che io mi rintanassi in camera con l’urlatrice per farlo cenare in pace. Durante il giorno non lo vedevo, usciva la mattina alle sette e il pranzo lo consumava sempre da sua mamma (ma questa era una brutta abitudine che aveva già dal primo giorno di convivenza), non per un problema di distanza dal luogo di lavoro, ma per puro egoismo.
Passano i mesi, le figlie crescono, io mi ritrovo con passeggino doppio e mamma sotto il braccio a girare reparti di oncologia, ormai le infermiere degli ospedali mi conoscevano come quella del passeggino e sedia a rotelle. Lui si fa sempre meno presente, io vado avanti crescendo le bimbe quasi da sola ( avere la presenza di un marito solo il sabato e la domenica pomeriggio poteva bastare?) e le loro esigenze crescevano con loro, più crescevano e più spariva, quante volte gli ho chiesto di poter cenare tutti insieme ma niente, si arrabbiava, mi diceva che non potevo chiedergli questo sacrificio, che lui aveva bisogno del suo momento di libertà…e io accettavo, non mi arrabbiavo, nella mia mente malata di zerbinismo pensavo che un marito sereno valesse più di mille cene in famiglia.
Passavo giornate in cui non sapevo cosa stessi facendo, ormai andavo in automatico, i problemi di insonnia della piccoletta mi portavano a riposare solo un paio d’ore per notte, non di più, quindi, quando finalmente lui appariva nel fine settimana, se qualche pomeriggio ho approfittato per fargli portare le bimbe fuori l’ho fatto per pigrizia? Secondo lui si…quindi, spesso, mi ritrovavo in domeniche pomeriggio allucinanti, in cui dovevo combattere la stanchezza ma farmi vedere entusiasta di fare gitarelle in città d’arte, di andare a vedere mostre, a immergermi nel caos di fiere di paese, con figlie urlanti per il poco entusiasmo nell’essere sballotate in posti che le annoiavano. Al rientro da queste assurde giornate lui ci lasciava davanti al cancello di casa, io mi ritrovavo a gestire di nuovo le esigenze impellenti di tutti, a lavare le bambine e sistemale, a preparare qualcosa per mia madre, a pensare all’organizzazione del giorno dopo, a sfamare le due piccole iene stanche e urlanti e a convincerle di andare a nanna, a ricordarmi di preparare i grembiuli e i cambi per l’asilo e poi, sereno e riposato, arrivava lui che si scocciava nel vedermi stanca.
Un giorno sono crollata, non ho retto più il ritmo e la solitudine nel gestirlo, fortunatamente mia madre mi ha ripresa per i capelli, mi ha fatto capire che avevo due figlie totalmente dipendenti da me e che non potevo permettermi di stare male, così  mi ha convinta ad andare a farmi aiutare, a farmi curare lo stress accumulato da anni. L’ho fatto, sono stata riempita di pasticche e tenuta buona mentre lui scuoteva la testa e diceva che la mia depressione era solo una scusa per giustificare la mia pigrizia visto che la sera mi trovava sempre sul divano…
Ancora umiliazioni, ma io non le vedevo, avevo scambiato il suo disprezzo per amore.
Un giorno, per uno stupido incidente, mi sono rotta tre costole: i medici mi avevano prescritto riposo assoluto, altri antibiotici ( visto che la frattura di una costola aveva pure bucato il polmone) e tanta pazienza. La pazienza è l’unica prescrizione che ho seguito, come potevo fermarmi? Chi avrebbe portato le bimbe a scuola, mia madre a fare le terapie, chi avrebbe pulito casa, lavato, rassettato, fatto la spesa? Mi ricordo che ho continuato con la vita di sempre, macinando chilometri in macchina ma cercando di guidare senza appoggiarmi allo schienale perché se appoggiavo la schiena non riuscivo a respirare, trattenevo le lacrime di dolore e mi facevo vedere serena e scherzosa come sempre. Pigrizia?
Purtroppo di li a poco morì anche mia madre e per me fu un dolore immenso perché con lei avevo un bellissimo rapporto di confidenza, quando ero stremata ( e lei lo vedeva e faceva di tutto per non darmi altri pesi) mi sdraiavo nel letto accanto a lei e lei mi accarezzava i capelli come quando ero piccola. Il mio dolore, la stanchezza, la fatica, la solitudine e chi ne ha più ne metta, non ha cambiato niente: lui ha continuato a essere latitante, a non partecipare alla vita di famiglia, praticamente era il padre/marito del fine settimana. E io zitta…
Una sera, mentre apparecchiavo, mi sono caduti dei piatti pesanti sulla testa, non vedevo più niente, ma poi mi sono ripresa e, nonostante avessi un dolore incredibile al cranio e un’emicrania incessante, ho continuato a fare il mio dovere di donna zerbino. Il giorno dopo, visto che il dolore non cessava, ho chiamato il medico che mi ha consigliata di andare urgentemente al pronto soccorso, avvisai il marito che mi disse che era troppo occupato per accompagnarmi, chiesi a un’amica di potersi prendere cura delle bimbe nel caso mi avessero trattenuta in ospedale e andai. Mi accolsero con l’urgenza, mi portarono di corsa a fare una tac e mi dissero che mi ero rotta il cranio, fortunatamente la parte frontale, ma che avevo comunque bisogno di riposo e osservazione, mi chiesero chi mi avesse accompagnato…quando risposi nessuno sgranarono gli occhi, mi dissero che ero stata incosciente anche solo a mettermi in macchina, firmai il foglio dichiarando che me ne stavo andando di mia volontà e riuscii ad andare a prendere le bimbe a scuola, ricominciando la mia solita vita, solo con un mal di testa incessante che durò settimane. Ancora pigra? Indolente?
Quante ne avrei di altre storie sulla mia pigrizia da raccontare, quanti compleanni ho passato a cenare da sola perché lui non poteva assolutamente rinunciare al bar, quante illusioni mi sono fatta sulla sua onestà, quante volte sono caduta nella sua trappola di serpente ammaliatore, mi bastava che mi guardasse negli occhi e che mi dicesse che ero la donna della sua vita, che non poteva desiderare di meglio dalla vita, che avevamo una rara affinità elettiva che ci avrebbe tenuto legati per sempre, e io ci cascavo ben bene…
L’anno scorso ho avuto quattro polmoniti, una dietro l’altra, ero a pezzi, sfinita dagli antibiotici, senza un briciolo di forze, lui mi aiutava portando ogni tanto le bimbe a scuola, ma non per altro, per il resto mi sforzavo di vincere la stanchezza, facevo come al solito, macinavo altri chilometri per portare le figlie alle loro attività preferite, mi imbacuccavo ben bene quando, tre volte a settimana, dovevo andare a prendere piccoletta in palestra in orario assurdo serale (20,30-21,00) e a lui non facevo pena, ma agli altri genitori si, tanto che un padre, ogni tanto, si offriva per riportarmi la figlia a casa…lui era al bar a godersi la libertà, a chattare con le sue amichette raccontando della sua vita fatta di sacrifici e di incomprensione da parte di una moglie balena e pigra che non voleva curarsi.
Quattro polmoniti…non le auguro a nessuno, ti lasciano proprio senza forze, ma lui pensava che fingessi e si arrabbiava, mi teneva il muso perché non lo aiutava a fare l’erba sotto il sole d’agosto, non lo aiutavo a rastrellare, si lamentava che doveva fare tutto lui, che non aveva niente di stirato e pronto per andare a godersi la libertà ( già aveva la sua bella relazione amorosa), mi chiedeva sacrifici e io li facevo, si scusava per non poter fare vacanze a causa di poca disponibilità economica e io mi sentivo in colpa per non fare abbastanza per lui, gli dicevo che delle vacanze non mi importava niente, a me la felicità veniva dal solo stare con lui…e intanto lui sputtanava i soldi in autostrada, benzina, alberghi in cui consumare il suo tradimento, intanto cercava un appartamento in affitto in cui creare il suo nido d’amore…raccontando alle sue amichette che era stufo di quella moglie pigra che lo aveva deluso troppo, per troppo tempo aveva sopportato la mia indolenza. Ho scoperto altri tradimenti, precedenti all'unico che mi ha confessato, ho scoperto che aveva smesso di amarmi da 18 anni e ha saputo fingere bene e nascondere la sofferenza che gli provocava lo stare con me.
Chi è veramente? Un mostro? Ora lo vedo per quello che è: un uomo piccolo, piccolo, senza attributi, vigliacco ed estremamente egoista, un uomo che cerca di manipolare il prossimo per ottenere quello che vuole, un uomo che non dice mai quello che pensa e non fa mai quello che dice, un uomo a cui piace addossare colpe agli altri per pulirsi la coscienza e convincersi di essere quello che non è, un uomo che va a dire in giro che ci siamo lasciati per incompatibilità di carattere, un uomo che tutt’ora nega di avere qualsiasi relazione, un uomo che si lamenta e si fa compatire dalle sue amichette perché gli manca troppo la famiglia, la stessa famiglia che evitava ben bene perché limitava la sua libertà, ancora mi immagina sul divano, ancora racconta che donna ignobile io sia, che è felice di starsene da solo e che non tornerà mai indietro per nessun motivo al mondo… ma tutto questo, è un uomo?
Ho contattato la sua amante, le ho detto la verità, quello che avevo scoperto, le ho detto delle altre relazioni che ha oltre a lei, lei mi ha chiesto se è vero che tutte le sere viene da me…no che non viene…così mi ha domandato altro, altri giorni, altre date, sono venute fuori altre bugie che lui dice a lei e le schifezze che lui ha fatto a me, la partaccia che mi ha fatto per essere andata a prendere un caffè con un’amica a dieci chilometri di distanza da casa, me la ricordo bene, e lei mi ha detto che, mentre mi sgamava al bar, lui era al telefono con lei, mi ha detto dei loro incontri, la sua verità messa insieme alla mia hanno fatto crollare il suo castello di carte, continuerà a giocare costruendone altri?
Con me il gioco è finito per sempre, gli ho detto che non voglio più vederlo né sentirlo, che tutto ciò che riguarda la gestione delle bimbe deve avvenire tramite un’asettica messaggistica, sono stata fin troppo buona anche stavolta, lo so, ma a che servirebbe cominciare una guerra fredda? Se deve sparire per sempre dalla mia vita è meglio chiudere la guerra e coltivare una nuova serenità e consapevolezza per cominciare, finalmente, a vivere una vita mia con le mie figlie, con quella famiglia che tanto lo ha deluso ma che a me ha dato la forza di vivere fino ad ora.
Sono una donna fortunata: sono libera!





martedì 25 aprile 2017

ODI ET AMO? GIORNO 176


Lunedì
Ieri, dopo mesi, sono riuscita a dormire, non beatamente come una volta, ma almeno non mi sono svegliata all’alba o, come negli ultimi giorni, alle due di notte. Eppure mi sentivo ancora tanto assonnata, come se mi avessero dato dei sonniferi di nascosto. Forse c’entrava anche il fatto che  il giorno prima avevo cenato e ieri ho pranzato? Il mettere dei pasti diversi dalla colazione mi ha dato l’effetto soporifero? Non lo so, so solo che non mi ha fatto bene, per niente, mi sentivo come se, in soli due pasti, avessi ripreso tutti i chili perduti in questi mesi, come se stessi ancora una volta tradendo me stessa, ma quello che più mi crea ansia oggi è chiedermi perché è tornata la fame.
Una persona normale, che ha un sano rapporto con il cibo e se stessa, mangia quando ha fame nutrendo il suo corpo, il cibo che mette in bocca lo assapora, lo apprezza nella maniera giusta, chi ha problemi nell’alimentarsi non ci riesce. Da quando sono nata ho un bruttissimo rapporto con il cibo: non è mai stato il nutrimento per il corpo, ma la panacea per coprire voragini e curare ferite interiori. Non che mi sia mai abbuffata, basta solo mangiare cercando che quella breve soddisfazione colmi i vuoti, ma in questo modo, a parità di cibo e porzioni, chi fa come me nutre solo altre insoddisfazioni ed è anche per questo che il corpo reagisce coprendosi di strati di ciccia.
Se da un lato ho ancor più vuoti da colmare, dall’altro non voglio nutrire la bestia, quindi è ancora difficile per me vedere il cibo per quello che è e dovrebbe essere.
Era da stamani che trattenevo le lacrime, mi sono svegliata avendo già un groppo in gola, un forte senso di inquietudine e tanto odio per me stessa che ancora mi dimostro incapace su ogni fronte, in ogni campo e, soprattutto, incapace di tirar fuori la rabbia che devo. Oggi, mentre ero sola in macchina e stavo andando a prendere un’amica che, avendomi sentita poco serena, si era proposta di farmi compagnia nell’andare a fare la spesa, mi sono trovata a dover decidere, in una brevissima frazione di secondo, se fermarmi o continuare verso il grosso muso di un tir. Mi ha fatto prendere la decisione giusta (o sbagliata?) la telefonata della piccoletta, proprio in quel momento, che mi ricordava di prenderle tutti gli ingredienti per fare lo slime in casa.
Sono davvero stanca di tutto, anche di me stessa, sono stanca di ascoltare bugie, di lottare ogni giorno per stare in piedi e arrivare a sera, stanca di trovarmi sola nella gestione di due figlie adolescenti che litigano e urlano dalla mattina alla sera, stanca di sentirmi umiliata, maltrattata e disprezzata; mi sto sforzando parecchio affinchè riesca a far valere i miei diritti, ad accettarmi e volermi bene, almeno io, ma è davvero difficile e comincio a dubitare sui risultati: sono talmente nata sbagliata che non riuscirò mai a farmi capire e a farmi apprezzare dagli altri, quindi, cosa ci sto a fare a questo mondo?
Fortunatamente la presenza della mia amica mi ha tolto un po’ di brutti pensieri, le lacrime sono scese comunque, ma mi ha aiutata ad asciugarle.
Sono arrivata a casa che era già l’ora di cena, ho sfatto la spesa mentre cucinavo per le bimbe e, dopo averle sfamate e rassettato mi sono chiusa in bagno e infilata sotto la doccia bollente, per piangere ancora, più forte, disperatamente…è da sabato che ho la testa piena di pensieri che aprono ferite non ancora del tutto chiuse, avevo bisogno di buttarli fuori piangendo? Anche se le lacrime scendevano ancora confondendosi con l’acqua della doccia, sentivo che un timido moto di rabbia stava risalendo per fare capolino, rabbia non per me, ma per lui, per come ancora mi tratta, per avermi presa in giro per ventisette anni, per lo schifo che leggo nei suoi occhi quando mi guarda, rabbia per come si comporta con le bimbe, per l’egoismo che continua a guidarlo nelle sue scelte, rabbia per voler sempre dimostrare di essere migliore e diverso da quello che è: lui fa parte della categoria “vizi privati e pubbliche virtù”, la specie peggiore, quella da cui ho sempre cercato di stare alla larga perché sono troppo cristallina per capire i motivi che spingono queste persone a cercare di far fare agli altri quello che dicono ma mai quello che fanno in realtà.
Potevo farcela, la rabbia faceva su e giù, come un bambino che gioca a nascondersi dietro un foglio, i motivi per farla uscire ce ne erano a bizzeffe, ma…sparita, improvvisamente il dolore l’ha ributtata giù e ha preso il sopravvento. Come faccio a non odiarmi?

Chiediti se sono felice, chiediti se davvero meritavo questo tipo di felicità…

venerdì 21 aprile 2017

QUESTIONE DI KARMA?

GIORNO 173


Venerdì
Sono stata in modalità orso per cercare di riprendere fiato ma anche perché mi è stato detto che in quello che scrivo si legge solo tanta rabbia e odio ingiustificato e, da brava donna zerbino e insicura, ho pensato che sarebbe stato meglio non scrivere più, privandomi della mia valvola di sfogo, della mia passione per le parole, per non dare sempre l’impressione sbagliata. Poi, pensando, invece di dormire, come al solito, ho capito che ognuno è libero di interpretare le mie parole come vuole, chi si sente offeso forse ha la coda di paglia? Io racconto la mia vita, la mia verità, come la vivo e la vedo io, ma, non essendo tutti uguali, ciò che io vedo può essere visto in maniera diversa dagli altri, soprattutto quelli che, nolente o volente, orbitano nel mio mondo, e come io accetto sempre le opinioni contrarie alle mie, spero che anche gli altri facciano la stessa cosa. E’ una questione di libertà: lasciatemi il diritto di pensare e avere emozioni diverse dalle vostre…
E’ stato terribile, come lo è stato a Natale, passare la Pasqua cercando di perdere quelle abitudini che erano diventate il nostro rituale di famiglia. Le bimbe si sono chieste perché non poteva essere più come prima, perché all’improvviso è cambiato tutto senza averci mai visto non andare d’accordo? Non riuscendo nemmeno io a darmi una risposta,  se la sono data da sole: hanno pensato che il padre ormai avesse trovato la donna della sua vita e che questo sia un motivo valido e forte per abbandonare noi. Lui continua a negare, a dirmi che non ha continuato la relazione con la sua amante, ma come faccio a spiegarlo a loro? Come faccio a dirgli che il padre è felice di starsene lontano da noi e non ha nessuna intenzione di ammettere le sue colpe, chiedere scusa e cercare di salvare quello che ha gettato senza pensare? Preferisco che rimangano convinte della loro idea, seppur dolorosa è sempre meno dolorosa della verità (sempre che lo sia…), cioè che non gli importa un fico secco della famiglia che diceva essere l’unica cosa importante della sua vita. Giorni fa gli ho chiesto di essere sincero, perché ancora mi snocciolava una lista di balle su quello che lo fa star male e volevo sapere se ci fossero dei punti in comune con quello che fa star male me, così gli ho chiesto se sentisse la mia mancanza come donna, se ogni tanto, ripensando ai momenti belli passati insieme avesse un minimo di nostalgia o di tristezza nel sapere che non ce ne saranno più per noi due come coppia, gli ho chiesto di guardarmi negli occhi e di dirmi se davvero fosse contento della sua scelta. Ha detto di si, ne è soddisfatto, non gli manco se non come amica a cui raccontare la sua giornata, i momenti belli per lui sono semplici ricordi, ma non gli provocano nessuna reazione.
Gli ho ribadito che non possiamo essere amici, non può pretendere che io lo sia solo per farlo stare bene con la sua coscienza, perché a me fa ancora tanto male vederlo e sentirlo come se niente fosse ma sapendo che io non sono più niente per lui.
Ieri era particolarmente nervoso e arrabbiato con me, soprattutto perché vorrebbe che lasciassi l’idea della separazione in sospeso, non ne vede l’urgenza e la necessità…? Come al solito mi ha mandato dei messaggi crudeli e pieni di rancore, come al solito ho pianto dal dolore, non dalla rabbia, mi dispiaceva che non riuscisse a capire le mie esigenze. Poi, nel cercare un numero che avevo chiamato la mattina, ho scorso l’elenco delle ultime chiamate ricevute ed effettuate e mi sono accorta che, magicamente, la mia rubrica era stata mescolata alla sua, come quando avevamo la condivisione dell’account e mi sono ritrovata, tra le chiamate in entrata e in uscita dell’intera giornata, 18 volte il nome della sua (ex?)amante.
Come al solito altre bugie che ha sempre cercato di coprire arrabbiandosi per i miei dubbi sulla sua sincerità, facendomi sentire immotivatamente malfidata. Che schifo…non vuole la separazione subito, mi fa partacce come se fossi io ad aver creato questa rottura e lui stesse subendo i miei capricci e poi lui è il primo che, ancora una volta, si dimostra peggiore di quello che è…e per me, essendo anche già peggiore di quello che era, ha proprio toccato il fondo della mia stima e fiducia.
Però ieri non è stata una giornata totalmente negativa, il finale è stato, come al solito da film…
Come tutte le sere, poco prima delle dieci (a parte il venerdì che diventa uccel di bosco e sparisce anche per le figlie) ha chiamato le bimbe per la buonanotte (dopo aver chiamato lei…un vero e proprio dispensatore di buonanotte, per questo va a letto tardi: la rubrica è ben fornita! ) e, siccome la piccoletta aveva le mani impegnate, ha messo la chiamata in vivavoce. Dopo le prime parole si è sentito chiaramente che accanto a lui c’era qualcuno a cui diceva di aspettare perché era al telefono, l’altra voce, non riconoscibile, si faceva insistente e lui, a un certo punto, con voce irritata, ha detto alla piccoletta che l’avrebbe richiamata dopo dieci minuti. Dopo un quarto d’ora, in cui la bimba ha tenuto il telefono in mano nella speranza che squillasse, ancora non si era fatto vivo, così, visto che era anche l’ora di andare a letto, la piccoletta lo ha chiamato e lui ha risposto frettolosamente dicendo che era successa una cosa brutta e che si sarebbero sentiti il giorno dopo. Bel metodo per far andare a dormire in serenità le figlie che hanno cominciato a preoccuparsi e a chiedermi di chiamarlo e così ho fatto, ma non ho ottenuto risposta, ho provato a mandargli un messaggio, ma non risultava letto, ho continuato a chiamarlo più volte, ma niente e più passava il tempo, più l’ansia delle bimbe mi contagiava. A un certo punto, quando stavamo salendo per andare a dormire, mi arriva un suo messaggio in cui mi dice che è stato aggredito e picchiato e che si stava recando al pronto soccorso…ho provato a richiamarlo ma è stato telegrafico e criptico. Le bimbe, nel frattempo, si erano già liberate del pigiama, vestite e pronte per andare a vedere con i loro occhi come stesse e io, da crocerossina innata, le ho accontentate ma stavo anche accontentando me stessa.
Quando siamo arrivate al parcheggio del pronto soccorso lo abbiamo trovato fuori dalla sua auto: la faccia stravolta, l’andatura di un vecchio, e lo sguardo perso in pensieri tutti suoi. Come al solito, nel vederci, si è arrabbiato, mi ha detto che così facendo avevo solo fatto preoccupare le bimbe (io??) e, con fare stizzito, ci ha girato le spalle e si è incamminato verso l’ingresso. Io ho lasciato che andasse, dal finestrino gli ho urlato un “scusami se mi sono preoccupata per te” e sono ripartita velocemente verso casa, cercando di consolare la piccoletta che piangeva a dirotto perché, anche lei, era rimasta male per il trattamento ricevuto. Ho cercato di scherzarci su per rendere l’atmosfera meno pesante, ma è servito a poco, visto che ha voluto dormire abbracciata a me come un bambino piccolo.
Quando stamani le ha chiamate era più sereno, ma ancora al pronto soccorso, ha dato spiegazioni vaghe su quanto era accaduto, ha raccontato una storia che ancora mi lascia molti dubbi sul fatto che sia stata un’aggressione casuale ma molte certezze sulla possibilità che qualcuno gli abbia mandato un messaggio ben preciso.
Questa storia continua a essere un film che ora sta evolvendo in un giallo, ma non un semplice giallo stile Poirot o Miss Marple, qui il mistero si infittisce e ci vorrebbe l’ispettore Barnaby per sbugiardare i protagonisti più insospettabili!
Quando nel tardo pomeriggio è passato per riportare a casa la piccoletta che era da un’amica, era stranamente sereno, scherzoso, molto tranquillo con me, ma io no, non ero affatto tranquilla, gli ho detto che non credo più a nessuna parola detta da lui, gli ho detto delle telefonate che mi sono ritrovata sul mio telefono e lui, senza arrabbiarsi, mi si è avvicinato, mi ha abbracciata, mi ha dato il solito bacio sulla fronte dicendomi che avevo travisato perché quelle chiamate erano dovute al fatto che a lei serviva aiuto per scrivere una cosa…dalla lunghezza delle telefonate spalmate nell’arco di un’intera giornata dovrei pensare che la scrittrice in erba stia scrivendo un poema…o forse una commedia dell’assurdo?
Essendo venerdì non ha chiamato le bimbe per la buona notte, io ho passato la serata a piangere e vomitare per il dolore che mi aveva dato quell’abbraccio, così gli ho mandato un messaggio dicendogli che non lo deve fare più, che abbracciarmi , in questo momento in cui sto cercando di dimenticarlo, mi fa male, come offrire droga a chi sta cercando di disintossicarsi. La sua risposta: “Non so cosa mi stia succedendo, sto male anche io, credimi, ma non riesco a parlarne”, più faccina con bacio cuoricioso…ma quando parlo o scrivo, capisce quello che dico?
Per la cronaca: il pestaggio non è opera mia, io ero a casa e ho le figlie che possono testimoniarlo, non ho assoldato nessuno per fare il lavoro sporco al posto mio, per ora non posso permettermelo…però ringrazio chi ha preso tale iniziativa o devo ringraziare il karma?
Chi visse sperando…ogni tanto succede che, alla fine, venga accontentato?

mercoledì 12 aprile 2017

GIORNO 164

Mercoledì
Ancora lacrime, tante lacrime, ancora dolore, sconforto, delusione, bugie, ancora calpestata, umiliata, odiata, come se tutto questo facesse parte di una crudele vendetta pianificata per anni nei minimi particolari. Perché? Cosa ho fatto di così terribile da essere massacrata? Quando si fermerà? Non ha abbastanza pazienza per aspettare lungo la riva del fiume che passi il cadavere del suo nemico, che sarei io? Se continua così non dovrebbe aspettare a lungo, sono così stanca e affranta che la voglia di continuare a combattere senza armi, contro chi di armi ne ha un arsenale, se ne è andata, mi arrendo.
Sono senza diritti: non ho il diritto di star male, non ho il diritto di avere risposte, non ho il diritto di cercare di andare oltre e costruirmi la mia vita, non ho nemmeno il diritto di passare un paio d’ore con un’amica a fare una passeggiata, se questo vuol dire fare qualche chilometro ( una decina…)in più del solito con l’auto, perché consumerei della benzina in più e ora mi si chiede di fare dei sacrifici economici ( come se fino ad ora fossi vissuta nel lusso o se qualcuno avesse dovuto accontentare i miei capricci), non posso permettermi niente che riguardi me stessa, posso consumare benzina solo per gli spostamenti delle figlie, posso fare la spesa ma tenendo presente che il mantenimento che mi spetta è solo per loro, devo pregare che non mi serva niente per me stessa, perché non potrei permettermelo e non me lo permetterebbero.
Quel poco che ho guadagnato in questo mese con le ripetizioni è finito nella spesa, nelle necessità quotidiane di due ragazze adolescenti, io non ho vita sociale costosa, più di un caffè non mi posso permettere e, sinceramente, non mi interessa nemmeno. Sto cercando un lavoro vero, che possa permettermi di mandare tutti a quel paese, di chiudere la porta di una casa che sia solo mia, che mi dia quella tranquillità economica per poter pensare solo a ritrovare e gestire quella emotiva.
Oggi ho verificato con mano che continuano i colpi bassi verso di me, ho trovato cose che non dovevo trovare e altre che, invece di trovarle dove avrebbe dovuto tenerle, erano buttate insieme ai rifiuti dimenticati nella sua auto, il posto in cui mi ha messo è tra i rifiuti; continua a riempirmi di inutili bugie, continua una vita parallela che cerca di nascondere per paura di perdere cosa? Ormai ha già perso tutto, forse la dignità? Però continua a passare “casualmente” dove sa che può trovarmi, mi scova anche in posti in cui non vado mai e che scelgo proprio per non vedermelo arrivare, è normale? Cosa vuole ancora da me?
Devo smetterla di dare spiegazioni, di scusarmi per cose non fatte, di ascoltare chi, dopo che mi ha trattata male e accusata di ogni nefandezza, con voce suadente e gentile mi dice:
 “ma io scherzavo, non litighiamo per queste sciocchezze, non abbiamo mai litigato furiosamente in tutti questi anni, perché farlo ora?”
Già, perché farlo ora? Perché siamo sempre andati d’accordo e all’improvviso ha deciso che era stufo di star bene così?
Non stava scherzando, lo conosco troppo bene, lui ironizza quando deve dire cose terribili ma  che pensa davvero, poi si pente, non di averle dette, ma di avermi fatto aprire gli occhi, di avermi resa meno credulona e, siccome è vigliacco, ha paura delle conseguenze.
Purtroppo la rabbia non viene ancora fuori, solo lacrime di delusione e dolore, la rabbia che sento è solo per me, per la donna stupida che sono che ancora casca nelle trappole fatte di parole vuote, di sorrisi falsi, di promesse vane, di ricordi rimasti belli solo per me.

Come posso pretendere che mi si voglia bene se nemmeno io me ne voglio?