Venerdì
Dovrei
smettere di dare un numero cronologico ai giorni. Ci sono settimane che passano
così velocemente che non mi accorgo nemmeno che giorno sia stato ieri e quale
sarà domani. Buon segno? Il tempo sta passando e, come previsto, si sta
portando via pezzi di vita vissuta che non riesco più a trovare.
Domenica,
per una serie di impegni e circostanze, mi sono ritrovata di nuovo a recitare
la parte di facente parte di una famiglia apparente ma, quando mi sono
ritrovata davanti a un ricordo troppo tangibile e triste di un lontano 21
giugno del 1998, sono crollata in preda a un pianto di pura sofferenza per il
vuoto che, da troppi anni, cerco di colmare ma senza successo.
Purtroppo
nella mia vita ho provato fin troppe volte la sensazione di abbandono, di
perdita definitiva, per persone che amavo da morire; ognuna di loro ha lasciato
dei vuoti dentro di me, ma anche dei bei ricordi che mi aiutano ad alleggerire
la pesantezza dei ricordi più tristi.
In
quel giorno di giugno di tanti anni fa ho perso mio padre. Non ho rimorsi o
rimpianti, non ho lasciato niente in sospeso, nessuna cosa non detta né baci o
abbracci non dati, gli ho voluto un gran bene nonostante, come padre,
commettesse un sacco di errori e, proprio in quel giorno, in un brevissimo
momento di lucidità, mi chiese scusa…
”Quanto
male ti ho fatto e quanto amore mi hai dato, non te lo meritavi, scusami…”
Non
dimenticherò mai questa frase, non dimenticherò mai quanto mi piacesse dargli
dei sonori baci sulle guance sempre profumate di colonia, e, quando mi guardo
allo specchio, vedo i suoi occhi stanchi diventare i miei. Già, non ho rimpianti, non ci sono “avrei potuto”,
“avrei dovuto” e questo rende il dolore del ricordo sopportabile.
In
quei giorni, o forse lo stesso giorno, non ricordo bene, disse a colui che
sarebbe diventato mio marito dopo soli due mesi, di prendersi cura di me…
Ecco,
domenica mi sono ritrovata davanti a una chiesa e a una lapide che, se fino a
qualche mese fa mi scaturivano sentimenti contrastanti di gioia per l’una e
dolore per l’altra, mi hanno dato un doppio dolore: ora sono veramente sola.
Mi
sono adattata sempre agli imprevisti della vita, ho sacrificato sogni e
ambizioni ma ne costruivo di nuovi, diversi, ma pur sempre sogni, anche quando,
dopo pochi anni dalla perdita di mio padre, ho perso mia madre, sono riuscita a
sopravvivere. Per la sua perdita il dolore è stato immenso, fra noi c’è sempre
stato un rapporto speciale, quasi simbiotico: lei sentiva le mie sofferenze e
le mie ansie e io sentivo le sue, come se fossimo ancora collegate dal cordone
ombelicale. Anche con lei ho detto e fatto tutto, non ho rimpianti, le dicevo
sempre che le volevo un mondo di bene, anche quando ero già madre e lei già
nonna, però sento ancora forte la sua mancanza, mi mancano i suoi abbracci, le nostre lunghe
chiacchierate e le carezze che mi dava sulla testa quando mi accoccolavo
accanto a lei.
Ora
sono sola.
Si,
ho due figlie, ma questo vuol dire che sono io a dover pensare a loro, che devo
proteggerle, coccolarle, ascoltarle, accarezzarle e baciarle, ma non ho più
nessuno che faccia la stessa cosa con me.
Mi
adeguerò anche a questa vita, mi darò altri obbiettivi, cercherò altri sogni da
realizzare, sono sopravvissuta indenne a ogni cambiamento, da tutti i brutti
momenti che la vita, improvvisamente, mi ha buttato addosso, perché ci sono cose che non puoi fermare, non puoi
cambiare nemmeno mettendo tutto l’impegno possibile, non dipendono da nessuno e
quindi ci si deve rassegnare e continuare a vivere adattandosi a vuoti e a
dolori incolmabili.
Ma
ora sono sola.
Quest’altra
botta che la vita mi ha riservato (forse per vedere se avevo abbassato la
guardia e mi fossi adagiata sugli allori?) però mi lascia amareggiata, come se
ci fosse qualcosa di diverso dalle altre volte in cui ho dovuto asciugarmi le
lacrime e alzare la testa, perché, anche se so bene che riuscirò a cavarmela
come sempre, questa volta non era inevitabile, questa volta il destino non
entra nel merito, questa volta la mia vita è stata cambiata dal volere altrui,
da chi non ha minimamente pensato che io avrei pagato a caro prezzo le
conseguenze di un comportamento infantile e superficiale.
Mi
sto adattando a stare sola.
I
primi segnali positivi ci sono: non mi fa più tristezza chiudere la porta la
sera ed essere solo in tre, non vedo più come motivo d’ansia la parte del letto
vuota, anzi, ora la vivo come una comodità in più, non devo più pensare a pasti
che accontentino gusti e orari diversi, non mi rattristo più a trovarmi in tre
intorno a un tavolo o davanti alla tv la sera,
perché so che non c’è un quarto…anche prima forse non c’era veramente.
Comincio
a star bene da sola?
Forse
si, forse è rimasto solo l’affetto e l’amore se ne è andato con la vecchia
vita; se per me è stato deciso che fosse ora di cambiare vita allora che
cambiamento sia: senza rimpianti e rimorsi, anche questa volta so di aver detto
e fatto tutto…almeno io.
La malinconia è proporzionale alla quantità di bei ricordi che siamo riusciti a salvare dallo tzunami della vita.
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