Bentornata
insonnia, ma anche stomaco chiuso, emicrania battente e incessante e,
dulcis in fundo, voglia di convogliare tutto il dolore che ho ancora dentro
in altre parti del corpo.
Le
bimbe, giorni fa, mi hanno chiesto cosa siamo noi due perché non capiscono se il
padre vuole ritornare e io perdonare o se devono considerarci definitivamente
separati. Da tale domanda è nata la “grande domanda”: cosa voglio io? Io, come
donna, non come madre o moglie. Ho trovato la risposta in breve tempo e ho
cercato di parlarne con lui per mettere un punto fermo a tutta questa storia,
ma non ha mai il tempo di parlare con me, così ho dovuto usare il solito canale
mail, anche se quello che dovevo dirgli avrebbe avuto bisogno di meno
asetticità e distanza.
Non siamo più niente, né marito e moglie, né amici, né
due persone che stanno cominciando a conoscersi meglio, non siamo più
innamorati l’uno dell’altro, quindi è meglio andare avanti con l’ipotesi della
separazione, mettendo nero su bianco la parola fine.
Non
ho avuto risposta, né con mail, né con messaggio né con telefonata e nemmeno
quando è venuto ieri sera per vedere le figlie.
Silenzio
assenso, anche se mi sarei aspettata almeno un minimo di dispiacere, dopotutto
finire così malamente e improvvisamente un rapporto durato 27 anni, da cui sono
nate due figlie, un minimo di dolore lo lascia, lo deve lasciare, a me lo ha
lasciato e fa male, troppo male.
E’ un dolore da sconfitta, da delusione, dal
rendermi conto che sono stata presa in giro per anni senza accorgermi di
niente, un dolore che sale da dentro ma non riesce a uscire per andarsene
definitivamente, come fa lui a non sentire proprio niente?
Solitamente
impariamo dagli errori, anche da quelli fatti da altri e, soprattutto, nella
formazione del nostro essere uomo o donna, gli errori fatti dai nostri genitori
ci insegnano a capire come vogliamo essere e come non vorremmo mai diventare,
almeno per me è stato così. Per lui no, l’anaffettività in cui è stato
cresciuto forse non l’ha mai reputata un errore o una mancanza, forse perché le
carenze affettive sono state colmate da altro, da mutande stirate, da casa
impeccabilmente pulita e ordinata, da pasti cucinati su ordinazione e quindi si
è convinto che tutto questo fosse l'affetto.
Io ho
una visione diversa, per me l’affetto non si misura con quante cose
materialmente fai, ma quanto di te dai; io preferisco godermi dei momenti di
chiacchiere con le mie figlie invece che starmene con il ferro da stiro in
mano, preferisco riempirle di baci e abbracci piuttosto che di cibo, voglio che
con me possano sentirsi al sicuro e dargli sicurezza per esserlo anche quando
non ci sarò più, voglio che si sentano libere di parlare di qualsiasi cosa
senza il timore di essere brontolate o giudicate, voglio che si sentano a
proprio agio e non sull’attenti per paura di improvvise sfuriate scaturite da
futili motivi. Io ho vissuto la situazione opposta: in casa mia si poteva
parlare ben poco, poche confidenze e molte apparenze, i miei genitori erano
troppo presi da lavoro e problemi personali da trovare il tempo e la voglia di
parlare con noi o accorgersi se c’era qualche cosa che non andava, vivevo nel
terrore che mia madre trovasse la nostra stanza in disordine perché sapevo che
si sarebbe infuriata, avevo paura di dire o fare cose sbagliate, così ho sempre
taciuto e accumulato domande o richieste.
Può
darsi che stia sbagliando, sicuramente non ho la presunzione di essere una
madre perfetta, ma almeno ci sto mettendo tanto impegno e sacrificio per far
crescere le mie figlie senza complessi e insicurezze, non voglio che diventino
come me o taciturne e chiuse come il padre.
Lui
invece, pur ammettendo di aver avuto un pessimo rapporto con il padre, si
comporta esattamente come lui, aggiungendo ai suoi scatti d’ira anche la parte
che ha imparato dalla madre: far finta che vada tutto bene, non parlare nè dire
quello che si pensa, ma farsi i cavoli propri senza che nessuno se ne possa
accorgere per paura del giudizio altrui.
Falsità
e apparenza, le cose che ho sempre mal sopportato da chiunque: accorgermi che
ho vissuto per anni tra falsità e apparenza è una gran parte del mio dolore.
Ieri
ero a un funerale, io detesto i funerali, soprattutto perché, se la persona
defunta mi era molto cara, non mi piace condividere un momento così doloroso e intimo pubblicamente, mi sembra solo un momento di falsità e apparenza…ma ieri è stato
diverso, dovevo andare perché sapevo bene
che la mia assenza avrebbe provocato un dispiacere ai parenti rimasti.
E’ morta la mia tata, la donna con cui sono cresciuta, che mi ha cresciuta
nell’affetto, da cui ho preso la tolleranza e la sopportazione. Era una donna
forte seppur ossuta, saggia seppur non istruita, estremamente affettuosa e
amorosa con me seppur non avevamo legami di sangue. Tutti i giorni l’aspettavo
con ansia e lei arrivava, con il suo odore di pulito, di panni stesi al sole,
di corsa fatta in bicicletta per non fare tardi, e non le interessava
minimamente il mio aspetto, era l’unica che non mi diceva niente sulla mia
ciccia, ma la divertiva la mia esuberanza, il mio continuo essere in movimento,
il chiederle il perché di ogni cosa, lo starle sempre appiccicata cercando di
imparare a essere come lei ma combinando disastri su disastri, mi faceva
sentire speciale e amata, anche se ero davvero una piccola peste; fu lei a
mettermi il soprannome di “peste bubbonica” e, per anni, quando mi chiamavano
così non mi offendevo minimamente perché trovavo che suonasse meglio di
“cicciabomba”, anzi, cercavo di dare motivo valido per chiamarmi sempre e solo
“peste bubbonica” per far passare l’altro soprannome nel dimenticatoio.
Ecco,
ieri, ripensando a lei, ho pensato a cosa significhi amare: vuol dire far
sentire il prossimo unico e speciale, desiderabile e desiderato.
Da
quanto tempo non mi sento unica e speciale? Da quanto tempo non mi sento una
persona desiderabile? Troppo, talmente tanto che non mi sono mai accorta che
avrei dovuto sentirmi così se fossi stata amata veramente.
Ecco
un altro motivo di dolore: ero talmente abituata a essere amata poco da chiunque che mi
sono sempre accontentata, scambiando un semplice affetto per amore.
Ho
bisogno di amore, prima o poi riuscirò ad avere un briciolo di amore sincero
che mi faccia sentire unica e speciale?
Altra
cosa che mi dà dolore è che lui non capisce che io non aspetto più, che non mi
meritavo proprio di essere presa in giro prima né di continuare a farlo ancora ( il lupo perde il pelo ma non il vizio: l'aver detto a lei di voler tornare da me, a quanto pare è stata solo una scusa per cambiare amichetta),
insiste a dirmi che è confuso pensando che gli stia chiedendo di tornare ad amarmi
senza ascoltare quello che invece gli sto dicendo: ho aperto gli occhi e non
posso amarti più.
Voglio cominciare a vivere la vita e smettere di subire quella che mi fanno vivere.
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