domenica 6 novembre 2016

GIORNO 7

Domenica
Stamani mi sono svegliata alle 7, è già qualcosa, anche se ho passato una notte agitata a causa del cane che, sentendo il temporale, ha rotto le scatole tutto il tempo, proprio quando il sonno era arrivato, proprio quando la mia testa aveva finalmente ceduto e stava andando in blackout. Ieri sera, dopo cena, ho avuto una forte crisi di pianto disperato: non riuscivo a smettere di odiarmi, profondamente, di pensare che ho sempre deluso tutti quelli che mi volevano bene, che non merito niente se non tutto questo dolore, come se dovessi espiare la colpa di non essere stata all’altezza di niente e nessuno. Non sento più la fame, la sete, il freddo, il caldo, il sonno e la stanchezza, non riesco a svegliare il mio corpo, così ho provato a starmene sotto la pioggia battente per vedere se mi aiutasse a riprovare le sensazioni perdute.
Lui mi ha trovata lì fuori, sotto la pioggia, e si è arrabbiato con me perché faccio cose stupide che potrebbero spaventare le bimbe e mi ha detto che, se avessi continuato così, mi avrebbe portato al pronto soccorso psichiatrico. Sto impazzendo? La mia non è follia, sto solo cercando di annientarmi per vedere se dalle ceneri di quella che ero possa rinascere un’altra me, migliore.
Gli ho detto che ho bisogno di certezze, non a lungo termine, certezze quotidiane, mi fa male vederlo ancora confuso e indeciso, mi fa male averlo accanto senza che si accorga che ci sono o dando per scontato di avere accanto la solita persona, non guardando nemmeno se sono davvero io o la mia ombra.
Camomilla e rhum mi hanno aiutata ad aprire i lucchetti e a lasciare che il mio corpo cedesse alla stanchezza.
Stamani, quando mi sono alzata, ho trovato i soliti disastri di cani e gatti, le solite cose da pulire e rassettare, il solito mondo che mi rende, mio malgrado, quella che sono. Me ne sono fregata di tutto quello che avevo da fare e sono uscita a prendermi un caffè in serenità. Mi fa bene starmene da sola la mattina, prima che il mondo si svegli, prima che arrivino gli impegni canonici dettati da orari ed esigenze altrui.
Quando sono rientrata avevo più energia per affrontare la giornata e mi sono messa a pulire e cucinare senza sentirne il peso.
Ho mangiato e il mio stomaco dopo poco ha rifiutato quello che era entrato, senza che nemmeno lo aiutassi, ha fatto tutto da solo, come se proprio non volesse più essere riempito: sta bene vuoto e non lo sento brontolare.
Dopo pranzo, non sentendomi affatto stanca, gli ho chiesto, tempo permettendo, se, nel pomeriggio, avesse avuto voglia di andare a fare quattro passi insieme a me perché sentivo la necessità di muovermi e stare fuori. Ha accettato il mio invito come chi è costretto a ingoiare un’amara medicina. Alle quattro siamo usciti, io piena di energia e priva di brutti pensieri, lui serio e silenzioso. Abbiamo guardato vetrine, parlato del più e del meno, ci siamo presi un caffè e, almeno per quanto mi riguarda, sono stata bene, molto bene: nessun pensiero, nessuna fatica, nessun dolore, nessun peso. Lui non lasciava trapelare niente, come se avesse bloccato la sua faccia su un’unica espressione: vuota e indifferente.
Butta fuori quello che hai dentro in modo da fare spazio per far entrare solo quello che ti fa bene. Nutri l’anima, non il corpo.

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