giovedì 8 dicembre 2016

GIORNO 39

Giovedì
Stamani la giornata sembrava promettere bene: svegliata all'alba ma piena di energia, un caffè e due chiacchiere con un'amica, pulizie e lavatrici intervallate da telefonate di altre amiche, insomma, ero serena come lo sono da alcuni giorni.
Poi un messaggio che non viene letto, la piccoletta che si preoccupa perché non riesce a contattare il padre, lui non risponde al telefono e non visualizza nemmeno i messaggi, insomma, cominciavo a essere preoccupata…ecco che, finalmente, risponde all'ennesima chiamata della figlia, lei ci parla, gli chiede cosa fosse successo ( la sua preoccupazione era reale visto che la sera prima l'aveva sentito un po' giù), lui si innervosisce, allora ci parlo io e mi sbraita addosso una marea di assurdità, di cose che non ho mai fatto, mi urla che devo lasciarlo in pace, che dobbiamo lasciarlo in pace tutti, che sono assillante e gli sto troppo addosso…
Forse ha sbagliato persona, forse sta andando definitivamente fuori di testa, forse, per l'ennesima volta, non ha capito niente di me.
Mi arrabbio anche io, ma ormai mi ha tirato il telefono in faccia e io non ho più credito per richiamarlo, così esco velocemente di casa, ricarico il telefono e lo chiamo buttando fuori tutto quello che ho dentro: tanta rabbia perché non mi merito proprio questo trattamento, ho fatto fin troppo, l'ho lasciato fin troppo libero di fare quello che voleva e quando voleva, non sono mai stata assillante prima e non lo sono nemmeno ora, che non ne ho più nemmeno il diritto, gli ricordo che, da quando se ne è andato, non l'ho mai cercato, non l'ho mai visto, ci siamo entrambi evitati abilmente e che se qualcun'altra lo stava assillando non se la doveva prendere con me.
Lui cerca di calmarmi, non è abituato a sentirmi arrabbiata, mi dice che ne avremmo parlato a quattr'occhi dopo pranzo, ma il mio pranzo se ne è andato di nuovo nel cesso, ho ricominciato a vomitare, a volere farmi male, a cercare il dolore fisico per non sentire quello che mi sta torturando dentro e mi faccio rabbia da sola, ma mi chiedo cosa abbia fatto di male nella mia vita per meritarmi di soffrire così? Perché appena cerco di alzare la testa mi si impone di riabbassarla?
Non volevo dirgli più niente, ma poi, quando me lo sono trovato davanti tutti i buoni propositi sono fuggiti dalla mia testa. Era da una settimana che non lo vedevo, per questo stavo così bene, avevo messo i miei sentimenti in stand by, mi ero dimenticata di loro.
Siamo andati a prenderci un caffè e ci siamo chiariti: lui mi ha spiegato il perché del suo nervosismo e io gli ho spiegato il mio perché, gli ho detto che sono stufa di essere trattata a calci nel sedere, di essere totalmente ignorata da lui, ma, soprattutto da chi gli sta accanto in questo momento…così gli ho raccontato di quanto mi abbia fatto arrabbiare sua madre, il doverla consolare, il sentire cose assurde che, secondo lei, avrei dovuto fare e, per la prima volta in 27 anni, mi ha dato ragione, confessandomi anche che pure lui non ce la fa più a stare da lei, che lo assilla quotidianamente per niente, che lo tratta come se fosse un bambino e non gli lascia spazio, autonomia e privacy.
Non riuscivo a smettere di guardarlo negli occhi, mentre lui cercava, in ogni modo, di sfuggire il mio sguardo, così gli ho chiesto di parlarmi guardandomi in faccia e di dirmi perché ieri stava così male.
Perché gli manco.
Erano lacrime sincere quelle che vedevo scendere dai suoi occhi.
Gli manca la quotidianità, gli manca il non vedermi, il non sentirmi diecimila volte al giorno, gli mancano le nostre chiacchierate e, persino, gli manca il litigare e battibeccare ogni tanto, perché, come è successo anche oggi, non siamo mai riusciti a litigare veramente, non riusciamo a tenerci il muso per qualche ora, quindi inimmaginabile farlo per qualche giorno. Gli manco davvero io?
Siamo stati bene, ci siamo detti cose mai dette, abbiamo parlato solo di noi due, senza intromissioni esterne. Avevo voglia di abbracciarlo forte, di sentire il suo profumo su di me, di baciarlo per riassaggiarne il sapore.
Ha ancora bisogno di tempo, più che per decidere, per ritrovare una serenità che, in questo momento, non ha, non riesce a smettere di star male per quello che ha fatto.
Ho pianto, di nuovo lacrime, vomito, incubi, voglia di farmi male.
Gli ho detto che sono stufa di vivere dentro un incubo, perché dagli incubi ci si sveglia, prima o poi, ma gli occhi riusciamo a riaprirli e a rassicurarci che sia stato solo un sogno, invece il mio incubo è lunghissimo, non riesco a svegliarmi perché so che, se apro gli occhi, mi rendo conto che la realtà è uguale al sogno che stavo facendo.
Quando pensi che la strada sia quasi finita, dopo la curva non vedi l'arrivo, ma solo tante altre curve

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