giovedì 22 dicembre 2016

GIORNO 53

Giovedì
Il Natale si avvicina e, come ogni anno, porta con se solo tristezza e ipocrisia.
Nella mia vita ho dovuto accettare diversi cambiamenti, nonostante fossero più o meno tristi sono sempre riuscita ad adattarmi e andare avanti, quest’anno ce la farò?
Il Natale di quando ero piccola era un susseguirsi di gioia e tristezza: gioia dovuta alla mia tenera età, alle aspettative, all’odore di abete che riempiva la casa, la tristezza arrivava dopo, quando le aspettative venivano deluse, quando i costanti litigi dei miei genitori rompevano ogni magica atmosfera natalizia, quando mi chiudevo in camera per rifugiarmi nel letto per non sentire, per non vedere, per piangere in pace.
Crescendo poco è cambiato, ma ho imparato a gestire la tristezza, a comprendere i miei genitori, ormai separati, che, almeno per Natale si sforzavano di sopportarsi, quindi passavamo la vigilia a preparare qualcosa che avrebbe dovuto unirci: io e mia mamma ai fornelli, mio padre che, come sempre, all’ultimo minuto, prima della chiusura dei negozi, andava a comprare i regali pensando che, più spendendo o sbalordendo, più sarebbe stato Natale, mio fratello assente o trasparente, mentre mia sorella tentava di spandere nell’aria un’atmosfera natalizia fatta di musica, decorazioni e profumi. Poi, come sempre, prima di cena, il solito litigio per come doveva essere preparato il piatto che da anni, per tradizione familiare e origini geografiche, mio padre si metteva a fare all’ultimo momento, creando scompiglio in cucina e nella mente super organizzata e programmata di mia madre.
Così ci ritrovavamo a tavola già stufi, intrisi di odore di baccalà mantecato, ma forse anche felici che tutto si ripetesse come da copione, come se la nostra stabilità fosse dovuta a una routine che, anche se non piacevole, ci teneva comunque uniti. Il giorno dopo, quindi Natale, la famiglia si sgretolava, ognuno aveva impegni diversi e altre abitudini da consolidare, così mi ritrovavo da sola con i miei genitori o sola con mia mamma.
Poi, la morte prematura di mio padre, mi ha tolto un pezzo di Natale, un pezzo felice: continuano a mancarmi i suoi regali improbabili, la sua voglia di allegria, il suo tener testa a mia mamma che non tollerava la sua eclettica incoscienza, il suo trovare sempre ottimismo e buon umore anche nei momenti in cui sembrava veramente fuori luogo. Quindi abbiamo preso altre abitudini, abbiamo cercato di togliere qualcosa di vecchio per mettere qualcosa di nuovo, il tempo mi ha aiutata a trovare altri motivi per cui valeva ancora la pena festeggiare il Natale: un uomo che adoravo e mi stupiva riempiendomi di sorprese e amore, poi la costruzione di una mia famiglia, le mie bambine, le loro aspettative e la bellezza dei loro occhi nell’attesa di questo giorno, la ritrovata serenità di mia madre che, nel frattempo, era diventata una nonna meravigliosa e importante per la crescita intellettuale dei nipoti.
Ma anche questo, in pochi anni, si è volatilizzato: la morte di mia madre ha lasciato un altro grande vuoto dentro di me, incolmabile, proprio accanto a quello lasciato da mio padre, e non c’è stato giorno, da allora, che non abbia pensato a lei, a loro, singolarmente, dandogli idealmente il buongiorno e la buonanotte, chiedendogli di aiutarmi a superare le difficoltà che trovavo ogni giorno nel vivere cercando di non pensare al dolore che avevo dentro. Il Natale è cambiato ancora una volta, ormai eravamo rimasti solo noi: io, lui e le bambine. Abbiamo cercato di dar vita a nuove tradizioni mescolando qualcosa del mio retaggio personale con qualcosa del suo, creando così il nostro equilibrio, certo, diverso da quello delle altre famiglie in cui la tavola è piena di cibo e persone, ma pur sempre felice.
Quest’anno dovrò cambiare ancora, lo so che sarà il primo Natale di un’ennesima nuova serie, devo solo inventarmi qualcosa perché non lasci altre voragini nella mia memoria.

Sono la somma degli anni passati.

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